martedì 18 agosto 2015

Txapeldunak!


Alzala, Carlos!

Nel 1984 Indiana Jones lottava contro i Thug nel "Tempio Maledetto", i Ghostbusters andavano per la prima volta a caccia di fantasmi a New York, Sergio Leone salutava il cinema con "C'era una volta in America", i bambini di tutto il mondo volavano sulle ali di Falkor ne "La storia infinita" e l'Italia rideva per le battute fulminanti di due comici diversissimi ma ugualmente geniali, riuniti insieme in un piccolo capolavoro chiamato "Non ci resta che piangere". Mentre i ragazzini consumavano monetine giocando a Tetris, 1942 e Bomb Jack, nelle sale giochi risuonavano in continuazione le note ammiccanti di Like a Virgin, quelle potenti di Born in the U.S.A. e quelle geniali di Radio Ga Ga. Sui campi di calcio i giocatori indossavano magliette dal tessuto pesante e senza sponsor, scarpe rigorosamente nere e pantaloncini molto corti. Fu in quell'anno, in un'epoca quasi preistorica rispetto a oggi, che l'Athletic Club alzò la sua ultima Coppa del Re. Sconfisse il Barcellona di Maradona e Schuster con un solitario gol di Endika, eroe di una serata mai più confermatosi a quei livelli. Fu il doblete per la squadra di Clemente, che sembrava nel pieno di un'epoca d'oro destinata a durare ancora per molti anni. E invece, da allora nessun calciatore zurigorri era più riuscito a sollevare un trofeo... almeno fino a ieri.
Ciò che è successo poche ore fa al Camp Nou di Barcellona non è la semplice conquista di un trofeo. Il riassunto perfetto lo ha fatto un tifoso bilbaino col suo striscione: "31 años esperandos, con 2 cojones". 31 anni. Un tempo lunghissimo, un'astinenza quasi infinita nel calcio, sport che vede rinnovarsi stagione dopo stagione i propri albi d'oro, sempre pronto a dimenticare perfino l'oggi per gettarsi subito nel domani. 31 anni. Quando Gurpegi ha alzato la Supercoppa 2015, la seconda a finire nella bacheca del club, lo ha fatto idealmente per tutto il popolo athleticzale. Per gli idoli del passato che non hanno potuto fregiarsi di alcun titolo; per quei giocatori che sono andati via, in cerca di soldi e gloria, e ieri hanno forse rimpianto per un istante di non poter festeggiare a Bilbao con tutta la città; per chi non è potuto scendere in campo, come Williams e Muniain, e ha sofferto in tribuna; per tutti quei ragazzi che non avevano mai visto la scritta "Txapeldunak" (campioni, in euskera) sul balcone del Municipio; per chi ha vissuto le annate peggiori della storia recente della squadra, quelle in cui la salvezza era l'unico trofeo alla sua portata; per chi vive lontano da Euskal Herria, soffre da lontano e non può neppure festeggiare con i suoi compagni di tifo. Per tutti.
Questa Supercoppa ci risarcisce di anni di delusioni, finali sfumate e sfortuna. La vera vittoria dell'Athletic è non tradire i suoi valori, ma i trofei aiutano senza dubbia a perpetuare la filosofia del club senza che i soliti materialisti sollevino dubbi sulla sua efficacia. Ieri c'è stata una risposta chiara e forte alla domanda che ogni tanto riemerge: ma il modello Athletic paga? Sì, paga. Perché a meno di chiamarsi FC Barcelona o Real Madrid, vincere qualcosa in Spagna è maledettamente difficile. Chi ci prova finisce spesso per indebitarsi, dura al massimo qualche stagione e poi sprofonda. L'Athletic invece è sempre lì, come un mollusco tenacemente attaccato al suo scoglio nonostante le maree, a mostrare al resto del mondo che si può resistere, brillare e addirittura vincere restando fedeli a sé stessi.
Il capolavoro tecnico-tattico di Valverde e dei suoi ragazzi, favorito nel match di andata dall'atteggiamento arrogante dei culé (che evidentemente pensavano di uscire indenni dal San Mamés anche con le riserve, per poi asfaltare i baschi nella partita di ritorno), è già leggenda. Un 4-0 al Barça dei marziani non è cosa di tutti i giorni e quella partita finirà direttamente nel Pantheon zurigorri, accanto a tutte le imprese più belle compiute in un secolo e rotti di esistenza. Ieri la squadra è stata altrettanto perfetta: ha giocato con freddezza, si è difesa come da manuale del gioco e non ha perso la testa nei momenti difficili. Aggiudicarsi la Supercoppa senza perdere neppure una delle due partite e alzarla nello stadio degli avversari sono altri due tasselli di un'impresa memorabile.
A chi dice che la Supercoppa è un trofeo minore, che conta poco più di un triangolare agostano, rispondiamo che è tale solo per chi la perde. I blaugrana ci tenevano, eccome: i tifosi hanno riempito il Camp Nou e i giocatori non si sono risparmiati per tenere aperta la porta alla conquista dei sei titoli in un anno solare, impresa riuscita solo al vecchio Barça di Guardiola. Le loro facce a fine partita erano inequivocabili. Così come le nostre: sarà una supercoppetta, ma per noi basta e avanza. Le faremo posto nel museo biancorosso, tra le 24 Coppe del Re, gli 8 trofei di Liga e l'altra Supercoppa. Spero che chi di dovere la metta bene in evidenza: coi tempi che corrono, vincere un trofeo seguendo una filosofia tanto particolare come quella dell'Athletic vale più o meno come una Champion's League, specie se capita contro la squadra più forte del mondo. Nel nostro cuore, Gurpegi e i suoi compagni saranno per sempre i Supercampioni del 2015.